Le etichette iniziano a parlare non più solo la lingua del marketing fatta di claim, o quella della sicurezza relativa a ingredienti, valori nutrizionali e date di produzione e scadenza; si aggiungono ora indicazioni su materie prime riciclate, sfridi di lavorazione, fonti rinnovabili, perché solo con questo livello di comunicazione si aiuta il consumatore a compiere scelte consapevoli e non solo emotive.
Di Lorenzo Capitani
Le parole spesso rivelano più di quanto si pensi. Etichetta in italiano, ad esempio, così come in francese étiquette o Etikette in tedesco, arrivano dallo spagnolo etiqueta che significa “protocollo scritto” o “cerimoniale di corte”: da qui deriva il carattere prescrittivo e informativo dell’etichetta. L’inglese invece, predilige l’aspetto formale e così label indica una stretta striscia di carta, così come il riband del francese del XVI secolo da cui discende.
Oggi nell’etichetta, intesa proprio come il foglietto che si applica su oggetti vari per indicarne il contenuto, la provenienza, il prezzo o altre caratteristiche, i due aspetti convivono e concorrono a sintetizzare l’importate funzione che ricopre questa indispensabile parte del packaging. La storia dell’etichetta stampata risale ad almeno 400 anni fa, quando era realizzata con timbri in rilievo, in metallo o legno, su carta fatta a mano utilizzando una pressa lignea e un meccanismo di torsione. Ma l’esigenza di individuare il contenuto dei contenitori è vecchio quanto il commercio, se non quanto l’uomo stesso: già le anfore egizie avevano dei cartigli che ne identificavano il contenuto.
L’avvento dell’offset apre all’etichetta stampata e nel 1935 a Los Angeles Stan Avery, all’età di 22 anni, inventa l’etichetta adesiva applicando uno strato di colla sensibile all’acqua a dischi di carta poi tagliati e adattati a forme diverse. Solo due anni dopo, nel 1937, nasce l’etichetta a base autoadesiva cui basta togliere un angolo della carta protettiva e applicare l’etichetta al prodotto per trasformarlo da un bene anonimo a uno con un’identità definita. La storia delle etichette del vino ne è un esempio. Fino alla diffusione delle bottiglie di vetro, il sigillo sul tappo della botte era sufficiente a identificare il vino, ma dopo un’indicazione chiara divenne indispensabile. La più antica è ancora oggi considerata quella scritta dal monaco Pierre Pérignon, il celebre “Don”, che per non confondere annate e vigne d’origine e qualità del vino destinato all’invecchiamento, etichettò le bottiglie con una pergamena che veniva legata al collo della bottiglia con un pezzo di spago. Tuttavia l’inventore dell’etichetta come oggi noi l’intendiamo sembra sia lo svizzero Henri-Marc, proprietario della Maison De Venoge, che nel 1840 propose le proprie bottiglie di Champagne con etichette illustrate sul tipo di quelle odierne.
E così, le etichette sono diventate strumento importante di marketing. Il mercato sempre più globale e la continua crescita dello shopping online rendono l’immagine del prodotto un aspetto determinante per orientare e condizionare il cliente. L’etichetta è la prima cosa che il consumatore guarda. Ecco perché oggi, che sia industriale o artigianale, che sia di nicchia, di lusso o low-cost, ogni prodotto viene etichettato e dotato di un packaging che lo identifichi immediatamente e in modo inequivocabile. Prima dello shock energetico e l’inizio del conflitto in Ucraina con l’introduzione delle sanzioni alla Russia, il settore etichette da solo segnava un aumento di produzione del 16% e del fatturato del 10%. È del 9 marzo 2022 il comunicato di Assografici che denuncia come i settori della stampa editoriale e commerciale e la produzione di packaging siano oggi a forte rischio per quanto riguarda la continuità produttiva. Benzina sul fuoco, come ha commentato il presidente di FINAT (l’associazione europea dell’industria di etichette autoadesive), Philippe Voet: «Dalla scorsa estate (2021, ndr), l’economia mondiale ha dovuto far fronte alla mancanza di elementi che concorrono alla produzione: energia, prodotti chimici, pasta di cellulosa, carta di recupero, plastica, inchiostri, trasporti, laminati e, non ultimo, risorse umane». Astraendoci dalla congiuntura avversa, proviamo ad analizzare il mercato delle etichette per individuare dove sta andando.
Sostenibilità ed etichettatura ambientale
Come per tutto il settore del packaging, la spinta alla sostenibilità sta fortemente influenzando anche il labelling. E, forse, si sta andando oltre il fumoso concetto di green, che è parso finora più come trend che come sostanziale cambiamento, per coinvolgere in modo coerente e pragmatico l’intera vita del prodotto e dei suoi elementi. È inutile il km zero, se poi la scatola non si può riciclare perché composta di materiali diversi difficili da separare. Illuminanti in questo senso le parole di Chiara Faenza, Responsabile Sostenibilità e Innovazione Valori per Coop, che fin dal 2006 ha avviato un progetto ispirato al Protocollo di Kyoto: «La scelta di qualunque packaging deve essere mossa da una riflessione che unisce più aspetti: rispetto dell’ambiente, funzionalità, marketing, food safety, riciclo, fine vita. Un esempio virtuoso in questo senso sono i bollini dell’ortofrutta sfusa che Coop ha reso compostabili, quindi tranquillamente smaltibili con il residuo umido». La strada verso l’imballaggio essenziale e il refill è stata bruscamente interrotta con la pandemia da Covid-19, quando è tornato di prepotenza il prodotto imballato: «Per quanto contraddittoria – continua Faenza – questa dinamica dimostra che il consumatore è consapevole e va semplicemente orientato, con una comunicazione dedicata». E l’etichetta è lo strumento giusto: la cosiddetta “etichetta ambiente”, che spiega come riciclare, dal settembre 2020 è diventata norma[1] e dal gennaio 2023 obbligatoria, anche se si potranno ancora utilizzare i packaging esistenti, privi dell’etichetta europea, fino a esaurimento delle scorte. Per i prodotti molto piccoli o particolari, dove in etichetta manca lo spazio per una descrizione estesa, si potrà ricorrere al QR code o indicare un sito Internet.
In sintesi, il biennio 2022-23 è un giro di boa per il packaging perché su tutti gli imballaggi (primari, secondari e terziari) i produttori devono indicare la codifica alfa-numerica che indica il tipo di materiale; sugli imballaggi destinati al consumatore devono essere presenti anche le diciture opportune per supportarlo nella raccolta differenziata. E così le etichette iniziano a parlare non più solo la lingua del marketing fatta di claim, o quella della sicurezza relativa a ingredienti, valori nutrizionali e date di produzione e scadenza; si aggiungono ora indicazioni su materie prime riciclate, sfridi di lavorazione, fonti rinnovabili, perché solo con questo livello di comunicazione si aiuta il consumatore a compiere scelte consapevoli e non solo emotive. E così, restando nel mondo del vino, da sempre attento all’etichetta, troveremo una tabellina che nel caso di uno spumante riporterà per ciascun componente anche la sigla del materiale e l’indicazione di smaltimento, come ha già fatto nel 2021 la cantina Tenimenti Civa di Bellazoia di Povoletto (UD) che ha usato per le bottiglie un’immagine coordinata che ricordai i bidoni cui destinare i singoli pezzi: turchese per la capsula, marrone per il sughero e verde per il vetro. Le linee guida redatte dal CONAI sono disponibili in rete.
Processi e materiali più sicuri
Un altro aspetto virtuoso verso la sostenibilità delle etichette è l’ottimizzazione della migrazione delle sostanze chimiche contenute negli imballaggi e nelle etichette di prodotti destinati all’alimentazione. In passato la cronaca ha registrato casi eclatanti di oli minerali degli inchiostri trovati in pasta, riso e cioccolato, di fotoiniziatori degli inchiostri UV trovati in alcuni cibi o del fluoro individuato dalla Danish Technical University nella carta e nel cartone. Incidenti, più che comportamenti scorretti, anche perché una legislazione chiara esiste. Tra i MOCA, ovvero tutti i materiali e gli oggetti destinati a entrare a contatto con prodotti alimentari durante le varie fasi di produzione, trasformazione, conservazione, preparazione e somministrazione, sorvegliati speciali oggi sono gli inchiostri per la stampa digitale che sta guadagnando sempre più quote di mercato. La legislazione europea fissa il limite totale di migrazione (OML) a 10 mg/dm2 per le superfici a contatto con gli alimenti, indipendentemente dalle dimensioni del pacco: ciò significa che in una scatola dove 1 kg di cibo è confezionato in un cubo di 10x10x10 cm, il valore di migrazione corrisponde a 60 mg per kg di cibo. L’ecosistema alimento-packaging non è stabile, cambia nel tempo e risente delle sostanze aggiunte intenzionalmente ai cibi (additivi, coloranti, antiossidanti ecc.), dei residui (solventi, adesivi, catalizzatori) e dei prodotti di neoformazione, ossia quelle sostanze che si producono dalla decomposizione spontanea del materiale di imballaggio. In più ci sono le sostanze che possono migrare dall’alimento al contenitore, come lipidi e pigmenti.
La migrazione è un fenomeno subdolo e può avvenire per penetrazione, ovvero attraversamento dei materiali di cui sono composti l’etichetta o l’imballo, o per contatto con il retro dell’imballo o dell’etichetta quando questi sono arrotolati o impilati. In questo caso, il retro contaminato sarà quello più vicino al cibo. Infine, esiste la migrazione dovuta alle sostanze rese gas per alterazioni fisiche dovute alla cottura o alla conservazione del cibo, come il congelamento. Alcuni produttori hanno migliorato la formulazione dei loro inchiostri proprio per contenere questi fenomeni. È il caso di Xeikon che per i suoi inchiostri sia dry che liquidi usa resine di poliestere ad alta resistenza che fanno effetto barriera. Molto dipende poi dalle condizioni di produzione, come il giusto tempo di asciugatura soprattutto per gli inchiostri liquidi, le condizioni di stoccaggio (l’alta temperatura aumenta il rischio di migrazione) e il tipo di cibo (ampie superfici lisce di cibo assorbono maggiormente). L’uso di strati barriera, come film plastici, ovviamente minimizza i rischi.
Quando la sostenibilità incontra la creatività
Se il mondo delle etichette nelle sue diverse sfaccettature è in crescita, il primo riflesso è evidente anche nelle scelte estetiche, dai materiali alle nobilitazioni, dal lettering alla grafica. Al crescere delle informazioni lo spazio disponibile diminuisce e i creativi si devono misurare con una comunicazione del brand che deve essere non solo accattivante, ma anche chiara, leggibile e soprattutto essenziale. La Main Squeeze Juice&Co ha tralasciato il superfluo e ha creato etichette in cui tutte le informazioni spiccano chiaramene in bianco sul colore naturale dei suoi succhi. Evian si è spinta oltre togliendo completamente l’etichetta e imprimendo il brand direttamente sulle bottiglie da 400 cl. E siccome sostenibilità rima con genuinità, il ritorno del brand alle origini è una scelta sempre più attuale con il primo logo, il primo slogan e i valori fondanti. In questo modo si fa sentire il consumatore a casa, lo si coccola e lo si lega emotivamente. È la scelta fatta da Barilla che per il suo 145° anniversario ridisegna il logo che diventa di solido rosso più intenso e chiude la parentesi dei pacchi azzurri per ritrovare il tradizionale blu. In più tutte le confezioni ridurranno la finestra trasparente facendo risparmiare 126 mila tonnellate di plastica all’anno. Ritorno alle origini anche per Latteria Soresina, una delle più importanti realtà del settore lattiero caseario italiano e prima produttrice di Grana Padano al mondo.
Natura e ambiente certamente non vanno d’accordo con colori che sanno di artificiale, e così il bianco è il colore di fondo preferito sul quale si usano nuance tenui e tinte pastello, come nei prodotti a marchio Sephora, che si è prefissata l’obiettivo del 100% di imballaggi riciclabili o riutilizzabili entro il 2025, o di Alama che produce saponi naturali fatti a mano.
Anche quando si usano le lamine o i colori metallici delle latte le si depotenzia, come ha scelto di fare il birrificio La Luna Brewed che per la sua Kombucha ha usato un blu opaco con il lettering negativo che fa emergere l’alluminio della lattina. Questo vale sia per le etichette dei vini che per i cosmetici, i principali trend setter del settore.
Quando il fondo è bianco, una scelta che si sta affermando è usare i gradienti, ovvero colori che dal pieno degradano donando profondità e freschezza; oppure si cerca un look retro-futuristico come per lo shampoo Raw Earth o i Bio Salts da bagno realizzati dal graphic designer Anton Proskuryakov, o ancora la bottiglia Kukus Gin realizzata da 99design, collettivo di creativi di Oakland, California.
I colori, quando non sono pastello, restano solidi, senza sfumature. A volte non stampati ma tinti in pasta e così l’etichetta diventa il packaging, come per il brand di cosmetici vegani Thrive Causemetics.
La cantina canadese Backyard ha scelto un lettering estremamente ricercato, ma allo stesso tempo minimale, che disegna motivi floreali, ma come se fossero un tatuaggio su un’etichetta tutta bianca. Un bianco e nero minimale anche per la linea di saponi per i piatti Natural Dishwashing Liquid lanciati dalla Regina Elisabetta con il brand Royal Sandringham Estate, sua residenza di campagna di Norfolk.
La cantina portoghese di Logroño Finca De La Rica ha tutte le etichette su carte vergate impresse a caldo color rame e stampate in nero; l’etichetta, poi, è un gioco: El Buscador un crucipuzzle, El Guìa un unisci i punti e El Nòmada un labirinto. Carte riciclate invece per le etichette del Benromach Single Malt Scotch Whisky della Gordon & MacPhail disegnate da D8 di Glasgow.
Resiste ancora molto forte la tendenza dell’organico che trasmette in modo inequivocabile un messaggio eco-friendly, al limite dell’edibile anche per prodotti che non si mangiano, come il sapone liquido che strizza l’occhio al miele. Insomma l’ispirazione non manca e non sembra che i creativi fatichino ad adattarsi alle novità imposte dalle nuove regole, anzi sono i più entusiasti.
[1] Decreto Legislativo 3 settembre 2020, n. 116, che recepisce la direttiva UE 2018/851 sui rifiuti, e la direttiva (UE) 2018/852 relativa agli imballaggi e ai rifiuti di imballaggio.