Storytelling, sustainability, smartness sono i tre principidel packaging intelligente. Che grazie alla combinazione di materiali e tecnologie integrate diventa una piattaforma di comunicazione ricca di funzionalità e contenuti.
di Lorenzo Capitani | su PRINTlovers 89
Tutta la filiera del malto minuto per minuto, dalla semina dell’orzo in campo fino all’uscita della bottiglia dalla linea di produzione: basta un piccolo QR code sull’etichetta e uno smartphone per scoprire tutto, ma proprio tutto della Peroni che si sta per bere, compresa la distanza dal birrificio». Queste le parole di Federico Sannella, direttore Relazioni Esterne di Birra Peroni, alla presentazione del progetto di tracciabilità in blockchain con certificazione digitale sull’etichetta delle bottiglie di birra presentatoil 3 giugno scorso. È questo solo uno degli ultimi esempi di quello che oggi viene definito imballaggio intelligente e che va oltre le funzioni primarie di protezione e comunicazione del prodotto. Si tratta di un mercato che vale quasi 20 miliardi di dollari con un tasso di crescita annuo medio del 9,4%.
Il settore del packaging, secondo un rapporto di DS Smith, società internazionale di packaging con sede a Londra, continua a crescere e a evolversi per poter rispondere alle nuove esigenze del mercato e dei consumatori, per spingerli all’acquisto, naturalmente. Oggi non bastano più le forme tradizionali e si esplorano le vie offerte dalle ultime novità tecnologiche, dal QR alla realtà aumentata, quando non già l’IoT (Internet of Things). «Il consumatore oggi conosce perfettamente i brand e il loro packaging – scrive nel rapporto Stefano Rossi, CEO della DS Smith Packaging Division Italy – e li associa a fiducia e affidabilità, valori ora più che mai necessari. Non c’è mai stato un periodo più stimolante per lavorare nel packaging. Il semplice imballaggio diventa anche una piattaforma di comunicazione ricca di funzionalità».
Le tre S
Ma facciamo un passo indietro: è questo un momento di passaggio e cambiamento. Si oscilla tra incertezza e voglia di ripartenza, tra prudenza e slanci propositivi. Opposti che hanno però in comune il forte desiderio di concretezza, autenticità e sostenibilità. Nel packaging contenere e attirare sono ormai concetti scontati, oggi sono tre i driver che, secondo la ricerca di DS Smith, guidano le tendenze del packaging: la capacità di raccontare una storia, essere sostenibile e smart. Questi tre aspetti sono coordinate vettoriali mai disgiunte, ma ben integrate e che concorrono ciascuna per la sua parte a comunicare e vendere un prodotto.
Storytelling
Lo storytelling è una strategia di comunicazione persuasiva che veicola la storia di un’azienda o delle persone che ci lavorano, raccontando come nascono (o sono nati) e si realizzano i loro prodotti. La tendenza oggi, soprattutto nel food, è trasmettere la genuinità degli ingredienti, la provenienza a km 0 e la sostenibilità della filiera. Dando un volto a un brand si guadagna fiducia e si trasmettono valori, e questo ha un peso, basti pensare che il 73% delle persone è disposto a pagare di più per alimenti e bevande prodotti con ingredienti riconoscibili e affidabili e il 50% dei consumatori acquista prodotti sostenibili grazie alle informazioni che leggono sulla confezione. E tutto questo è amplificato dal cosiddetto “effetto Covid”, ovvero l’impatto che la pandemia ha sui comportamenti e sulle abitudini delle persone. L’uscita dalle restrizioni spinge al consumo, ma a un consumo più consapevole, in cui però sia possibile uscire dalla quotidianità per provare qualcosa di inusuale o di esclusivo, in un certo senso lussuoso, fatto dal connubio tra design attento, selezione accurata dei materiali e perfetta comunicazione.
Sustainability
Sono i consumatori a chiedere responsabilità sociale ai brand e a volere prodotti sempre più sostenibili ed ecocompatibili, a partire proprio dall’imballaggio, premiando brand che li aiutano a consumare in modo etico. In più, nei paesi dell’area APAC, specialmente in Cina, Giappone, India e Brasile, con l’aumento del reddito pro capite la popolazione sta incrementando le richieste di nutraceutici (sostanze di origine naturale in grado di svolgere una funzione benefica sull’organismo) e cosmeceutici (prodotti naturali per il corpo).
E così riciclo e riuso sono diventati imprescindibili e nel piano di industria 4.0 è data molta attenzione alla riduzione del packaging in sé, degli involucri e degli sprechi di materiali, o delle componenti “inquinanti”. Anche quando il materiale apparentemente non sembra ecologico, se ne esalta invece la riciclabilità. È il caso del tetrapack, accoppiato tra cartoncino, polietilene e alluminio, tutti materiali perfettamente riciclabili, ma che insieme sembrano non poter essere recuperati. E così le aziende che usano questo materiale si sforzano di rompere questa credenza, scegliendo grafiche che esaltano l’aspetto grezzo del cartoncino o che comunicano l’aspetto green. E fanno bene perché oggi il tetrapack si ricicla facilmente, scindendo la carta per ricavare cellulosa e l’alluminio e il film plastico per ricavare l’ecoallene, un materiale di riciclo dei poliaccoppiati con il quale si realizzano oggetti plastici, packaging compreso.
In un’intervista del 2020 al Sole24Ore Maurizio Bassani, general manager di Parmalat, ha raccontato di come nel tempo abbiano lavorato per la riduzione della quantità di packaging: «Il peso di una bottiglia da 1 litro di latte fresco in PET è stato ridotto dell’8% (- 1.931 ton di plastica in 10 anni), mentre quella da mezzo litro del 20% (-709 ton); oggi una bottiglia da 1 litro di latte in HDPE pesa il 7% in meno rispetto al 2010, il che ha permesso di ridurre di 2940 tonnellate la plastica immessa sul mercato; un vasetto di yogurt da 125 grammi in PS è stato alleggerito del 6% (- 146 ton in 10 anni). Lavoriamo sui nostri prodotti per renderli sempre più sostenibili e dove possibile favoriamo la loro circolarità, utilizzando materiali riciclati e riciclabili». Lo stesso approccio eco-sistemico ce l’ha, ad esempio, anche Kraft Heinz, il colosso internazionale del food da 25 miliardi di dollari di fatturato globale: il loro obiettivo è arrivare entro il 2025 a fare in modo che tutte le componenti delle bottiglie di ketchup (che coprono il 60-70% del totale) e delle altre salse con il sistema top-down siano non solo riciclabili ma riutilizzabili per produrre altre bottigliette dello stesso tipo e non altri tipi di plastiche e materiali. Un impatto che solo in Europa vale 300 milioni di confezioni (di cui circa il 10% in Italia) equivalenti a 8-9mila tonnellate di plastica. Così Coca-Cola e Nestlé. Ma la sfida vera è il riuso, ovvero progettare eco fin da subito pensando un imballaggio che possa essere riutilizzato, o smontandolo e riciclando le sue componenti o riusandolo. Come ha fatto Clean Revolution che in collaborazione con Amazon ha sviluppato un sistema di spray riutilizzabili con cartucce con il prodotto concentrato da diluire in acqua per il refill. Al limite si arriva a imballi commestibili, come gli involucri per hamburger, le bustine di condimento dei noodles istantanei e i sacchetti di caffè dell’indonesiana Evoware, o idrosolubili in acqua calda come la Meal Bag. La newyorkese Loliware invece, dopo i bicchieri, dal 2020 produce cannucce aromatizzate derivate da alghe marine e microalghe rosse. Una volta bagnate, queste cannucce sono indistinguibili dalla plastica per 24 ore, possono essere mangiate o, se scartate, si degradano in due mesi. La catena dei Marriott Hotel e la Pernod Ricard nei suoi eventi hanno sostituito le cannucce in plastica con queste.
Smartness
Certamente oggi la tendenza più evidente nell’imballaggio è però quella che genericamente viene chiamata smart packaging. Un fenomeno che solo nel quinquennio 2016-2021 sta registrando un tasso di crescita del 9%. Ma cosa si intende per smart? L’ambito è ampio e trasversale anche agli aspetti visti sopra di racconto di prodotto e brand e di sostenibilità. A fare da leit motiv è sicuramente l’aspetto tecnologico che si aggiunge agli usi primari di contenere, proteggere, preservare e comunicare. Sono “smart” l’uso del QR e della realtà aumentata, così come essere tracciabile, commestibile, idrosolubile, auto-refrigerante o auto-riscaldante, o saper indicare la freschezza del prodotto o la sua integrità, ma anche ingaggiare il cliente portandolo in un sito, attivando game, sondaggi o raccontandogli storie, o ancora raccogliendo dati relativi alla sua interazione con la confezione o con il punto vendita. Queste sono solo alcune delle declinazioni di smart packaging che si stanno diffondendo. Parlando in generale, l’aspetto tech che va rafforzando la tradizionale funzione marketing agisce in due direttrici: l’imballaggio attivo in grado di reagire con il contenuto o l’utilizzatore, e l’imballaggio con funzionalità connesse o connettibili. In questo senso, lo scopo finale è sempre uno solo: l’inclusività, ovvero essere un punto di partenza per coinvolgere e ingaggiare i consumatori.
Si usano design, connettività e intelligenza data-driven per offrire un valore aggiunto ai consumatori. Uno sforzo che però non è quasi mai fine a sé stesso: gli imballaggi intelligenti, infatti, sono rigorosamente pensati per portare benefici alle persone e arricchire la loro esperienza d’acquisto attraverso facilità d’uso e informazioni. Un esempio di beneficio derivante dalle performance avanzate del contenitore sono gli imballi autorefrigeranti o autoriscaldanti, in grado di raffreddare o riscaldare alimenti addirittura fino a 65 °C in pochi istanti, già diffusi in numerosi paesi in cui è crescente la domanda di pasti e snack pronti da mangiare e cucinare.
Il packaging come fonte di informazioni
L’imballaggio intelligente è solo la porta d’ingresso a un’infinità di contenuti, quando non addirittura dati, ovvero informazioni misurabili, che raccontano ai consumatori quello che vogliono sapere sul loro prodotto, in modo passivo o attivo, ovvero che richiedono l’interazione con il consumatore per ingaggiarlo. La maggior parte dei contenuti passivi ha finalità di marketing e va poco oltre gli strilli commerciali del prodotto, ma si stanno diffondendo interessanti casi d’uso smart che sfruttano tecnologie che fanno reagire l’imballo all’ambiente o allo stato del prodotto per indicare la sua genuinità o integrità. I time-temperature indicators (o TTI) cambiando colore, ad esempio, danno indicazioni sulla storia termica del prodotto imballato: una tecnologia usata anche per monitorare il trasporto dei vaccini covid. Gli indicatori segnalano se in un determinato momento si è interrotta la catena del freddo o se l’imballaggio ha superato una certa temperatura di “sicurezza” o ancora più se la temperatura è quella giusta. È quello che accade con tutti i prodotti deperibili venduti in Finlandia dalla catena Lidl. Un esempio è la Climate Can di Budweiser che segnala se la birra è fredda abbastanza. Queste informazioni si ottengono sfruttando una reazione chimica che inizia al momento dell’applicazione dell’imballo: nel caso della birra si sfruttano inchiostri termocromici, in altri la migrazione di un colorante attraverso un materiale poroso. Esiste una terza via che si basa su indicatori colorimetrici attivati dai raggi UV: in pratica la confezione, inizialmente colorata, schiarisce man mano che resta esposta alla luce. Ma l’imballaggio intelligente può anche generare dati. I sensori possono registrare un’ampia serie di parametri quali temperatura, pressione esterna, livelli luminosi, freschezza e luogo per dare informazioni importanti tanto ai consumatori quanto ai brand. O, ancora, quando un prodotto è stato aperto come fanno i prodotti di Cargo Cosmetics. Utilizzando questi e altri dati, il packaging intelligente si presta a tantissimi impieghi, come informare i consumatori, aiutare i brand a migliorare le performance future dell’imballaggio, affiancare le promozioni di marketing o consentire processi automatizzati, ad esempio riassortire gli articoli quando sono esauriti. E non ultimo, ad acquisire dati sui consumi, sulle abitudini di navigazione e di acquisto e sul customer journey dei clienti.
I dati attivi per una CX inclusiva
La tecnologia applicata agli imballaggi prende davvero vita quando consente di entrare nel mondo del brand concorrendo anche a migliorare la Customer eXperience dei clienti, coinvolgendoli attivamente. Alcuni studi hanno dimostrato che il packaging è il supporto su cui avviene più di un terzo delle scansioni. In questo senso la soluzione più facile per una confezione connessa è usare un QR code, con il quale ormai tutti abbiamo familiarità (grazie anche al Green Pass). Si generano facilmente, non costano nulla e danno accesso a una nuova dimensione, come siti web, app, social, video, game… Nei 4.296 caratteri alfanumerici disponibili, i designer possono comunicare una gamma molto più ampia di messaggi non più limitati alla superficie della confezione e soddisfare la richiesta di informazioni dei consumatori, offrendo allo stesso tempo un nuovo canale per lo storytelling. Un esempio è l’iniziativa della veronese cantina Zai che non solo tenta la via del vino in lattina, ma lo fa raffigurando diversi personaggi protagonisti di un fumetto ambientato nel 2150 provvisti di un QR code che rimanda al sito della cantina, da cui è possibile accedere a tutte le informazioni. Pepsi invece ha stampato sulle lattine un QR che rimanda a un sito dedicato a contenuti media esclusivi prodotti per il Super Bowl 2021.
Estendere la realtà
Ma ci si è già spinti oltre sfruttando la realtà aumentata attivata da codici nascosti nella grafica. L’italiana AMA Bags ha fatto realizzare a Nava Press un lussuoso pack composto da 3 cofanetti in Sirio Black con un QR code stampato che abilita la videocamera per realizzare un video dell’unboxing da distribuire direttamente su Instagram e visionare l’intera collezione.
Con la piattaforma italiana Aryel è sufficiente inquadrare il packaging di un prodotto, o un marker apposito posizionato sulla confezione, per visualizzare sullo schermo del proprio device una serie di contenuti informativi aggiuntivi. Lavazza, ad esempio, l’ha usata per dare ai clienti la possibilità di vedere ambientate le loro macchine da caffè. Come sottolinea il report di DS Smith, l’AR può essere usata per semplificare aspetti pratici come leggere le informazioni nutrizionali inquadrando con lo smartphone il prodotto o può sfruttare l’approccio gaming, per sovrapporre i giochi virtuali al mondo reale, come ha fatto Birra Corona con la grafica estiva delle lattine che se inquadrate abilitano una spiaggia virtuale dove trovare diversi giochi. L’AR è usata anche per dare accesso a video come accade per la bottiglia animata del whiskey Jim Beam, a link social o a landing page, brochure interattive, pubblicità e cataloghi multimediali o vetrine interattive, fino a certificati di garanzia e originalità. L’americana Fruit Bliss sfrutta l’AR di Wikitude per attivare video-ricette, mentre Jack Daniel’s ha creato un tour virtuale della distilleria che in 30 giorni ha registrato più di 130.000 visualizzazioni con un tempo medio di sessione di 5:42, quando il tempo di impression medio difficilmente eccede il paio di minuti. Sfruttando la tecnologia GenARate di Konica Minolta, l’agenzia Conversion E3 ha realizzato per Mediterranea Saving Humans, durante Brand Revolution LAB 2020, il packaging di una spugna che se inquadrato abilita sullo smartphone una schermata che porta virtualmente in mezzo alle onde del mare. Cliccando su due pulsanti animati è possibile atterrare su apposite sezioni del sito per fare una donazione a favore dell’associazione oppure “saltare a bordo” iscrivendosi.
L’AR abbatte le barriere spaziali e permette di vedere anche come un prodotto si integra in uno spazio o sta indosso. Gartner stima che entro il 2022 100 milioni di consumatori nel mondo acquisteranno capi di vestiario e oggetti nei negozi usando applicazioni di realtà aumentata.
La radio-frequenza
Con l’accesso anche dei device di fascia bassa a tecnologie come l’RFID, che consente l’autenticazione con onde radio, l’NFC, che si basa sulla trasmissione bidirezionale senza contatto di dati tra due dispostivi vicini, questi sensori usati per i pagamenti si stanno diffondendo anche nel packaging. E anche l’ambiente ringrazia: infatti i tradizionali tag costituiti da antenne metalliche su carta sono riciclabili insieme agli imballaggi in cartone, in più si stanno diffondendo codici RF che utilizzano inchiostri conduttivi che si possono stampare direttamente sulle confezioni in modo da garantire la massima sicurezza e la protezione dalle manomissioni. Ma la tecnologia NFC sta anche trasformando il packaging da dispositivo di marketing passivo a una vera e propria piattaforma abilitante per il contatto con il cliente. La cantina Vigneti Massa, ad esempio, ha sviluppato in collaborazione con la pavese Guala Closures e Compellio, azienda di software con sede in Lussemburgo, un tappo intelligente che, grazie alla tecnologia NFC abbinata al blockchain, garantisce l’identificazione univoca della singola bottiglia e l’attivazione di contenuti digitali esclusivi. Così hanno fatto anche Malibu Rum che, solo nel 2020, ha rilasciato nel mercato più di 300.000 bottiglie connesse, e Paco Rabanne, che per la linea di profumi Phantom ha realizzato una bottiglia refillabile con chiusura con NFC. Secondo gli analisti la transizione tech del packaging è solo all’inizio, accelerata anche dal Covid. Basta pensare alla forte spinta data all’e-commerce, anche della semplice spesa alimentare, che sta portando a ripensare gli imballaggi finali per renderli adatti al delivery-at-home e sempre tracciabili.